Li aveva in tasca, spiccioli da scambiare, monete da ripagare, altri da collezionare. Ognuna con un'immagine diversa, provenienti da luoghi lontani arrivate incrociando chissà quante vie, posti che non si visiteranno, persone che le hanno usate e delle quali non conoscerà la faccia, nomi ripetuti a memoria storpiandone il valore.
Li teneva così, in tasca, pronti per l'evenienza, lasciandoli liberi di rintoccarsi al movimento, un tintinnio, quattrini di poco conto, un'iconografia che la memoria detta, legge per filologi, alcuni forti che raddoppiano, altri che si perdono deboli . Per formarne di taglio superiore ne servivano un'infinità dei suoi, che poteva incastrare ogni volta a piacimento secondo le necessità, un puzzle, didascalia di dissimulazioni. La ricchezza per lui non si misurava negli importi e altri, tanti, confondevano l'erudizione con la cultura. E allora stava lì, senza mostrarsi, con le sue monete singolari, sapendo che innumerevoli altre con acutezza di forgia poteva coniare