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venerdì 12 ottobre 2012

Di notte, quando non riesco a dormire, conto le pecore...




Stamani ho sbollentato e spellato dei pomodori. Erano rossi d'imbarazzo ma non hanno urlato. ( sarebbe d'accordo anche un fruttariano).
Da piccola assistevo alla stessa pratica che mettevano in opera mia madre e mia nonna cambiando l'oggetto del desiderio: le galline. Ricordo che le arrostivano su di una pentola diffondendo l'odore acre per tutta casa poi si mettevano comode e posandole sulle gambe, ricoperte da indumenti di poco conto per non sporcare i buoni, iniziavano a togliere loro le penne. Erano rosse fuoco, di quello che si è spento dentro.
Da piccola, condizione più che importante, venivo alloggiata a casa degli zii dove, in una camera, gli adulti si dedicavano alla macelleria del maiale, comprato per spartirselo tra più famiglie o allevato direttamente nelle case di campagna come era quella. Immagini confuse, per fortuna. Tipo una che mi riporta all'animale attaccato a quello che chiamavano lo scalone, all'aperto, per poi smembrarlo e dare inizio al rito, secondo fasi lunari considerate propizie, all'interno. La sala -degli orrori- per assurdo era vietata, in via di sicurezza, alle donne poichè se mestruate, i salami, cotechini (...) sarebbero andati male, in una parola bucati, e questa cosa per me, alquanto bestiale e scaramantica, si contrapponeva allo spargimento di sangue che le varie parti del maiale continuavano a grondare. Un altro flash è la vista dei miei fratelli, oltre la porta, che mangiavano la salsiccia cruda a pugni. Ne andavano ghiotti. Io non sopportavo neanche l'odore delle budella messe, qualche giorno innanzi, in un secchio con dell'aceto in ammollo per prepararle. E le cotiche in graticola coi peli irti che non avevano desistito nemmeno a quella ceretta. Questo non per chiamarmi fuori anche se io avrei preferito stare in giardino ma ricordo che quel periodo di gennaio non me lo consentiva.
Non cibarsi di carne è visto come un atto di una fede estremista. Credo che siano cose che si sentono da piccoli, e ne avrei una galleria inenarrabile, una sorta di vocazione. Difatti, per quel che mi riguarda, ho avuto 3 conversioni, le prime due per sensi di colpa, continuando a desiderare la roba d'altri, l'ultima irrevocabile alla quale penso che non rinuncerei neanche se mi mettessero in croce, che oramai è la quotidianità, un chiodo fisso in testa senza essere appesi all'ingiù come bestie.
Siamo il prodotto di ciò che mangiamo senza sottrazioni.
Oggi, per un pensiero al giorno, vorrei parlare di Helmut Friedrich Kaplan ma si potrebbe dire di chiunque ha fatto scelte diverse, ad esempio del nostro vicino di banco se è vero che "la vita stessa è la più grande scuola di vita e si potrà uscire dalla scuola nel modo giusto solo se dalla scuola si porta con sè la capacità di imparare a conoscere la propria vita dalla vita" (Rudolf Steiner).
Di notte, quando non riesco a dormire, conto le pecore, poi le mucche, i vitelli, i maiali ed è proprio quello che non mi fa prendere sonno perchè so che a quell'ora, da mezzanotte fino alle due-tre del mattino, quanto tutti dormono e continuano a farlo anche di giorno, vengono caricati e stipati in tir e diretti ai macelli dove, verso le prime luci dell'alba, le cinque-sei del mattino, senza scelta assistono alla prima della loro condanna a morte.
C'è un libro di R. Carver che si chiama Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. Senza leggerlo la replica dovrebbe essere "di noi".
Dentro di noi abbiamo tutte le risposte. E' che non ci facciamo le domande.
Passami il piatto per favore che lo metto sulla bilancia.