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domenica 28 agosto 2016

venerdì 26 agosto 2016

Identikit


mi autoproduco, fragile, mi clono,
stacco me da me stesso, e a me mi dono:
mi autodigitalizzo, ologrammatico,
replicandomi in toto, svelto e pratico:
mi automaschero e, assai plasticamente,
sindonizzo il mio corpo, e la mia mente:
mi autoregistro, ormai, se mi iconizzo,
cromocifrato in spettro – e mi ironizzo:

J. R. Wilcock


http://www.paolonori.it/esseri/

J. R. Wilcock, Fuori del limbo non c'è eliso


Poesie - Da "Poesie inedite"

La società ti insegna: questo è bello,
è buono, è vero, e non devi far quello.

A ciascun uomo offre già pronte l’etica,
la metafisica, la logica e l’estetica.

Di quando in quando, però, spunta un veggente
che spiega agli altri che non è vero niente.

Poi scompare, e la società si adopera
a travisare il senso della sua opera.

È strano infatti che essendo lei noi stessi
le stia così a cuore il farci fessi.

Quale comunità del mondo animale
insegna ai suoi l’arte di farsi male?

Ma gli animali non possiedono, è vero,
la facoltà di esprimere il pensiero.

L’uomo invece è un essere straordinario,
gode solo se gode il vocabolario.

Prendiamo, per esempio, la parola felice:
se non ci fosse, chi sarebbe infelice?

Lo stesso accade con la parola onore,
con la storia, con Dio e con l’amore.

Provate a rinunciare ai concetti astratti
e a vivere badando soltanto ai fatti.

Vi scacceranno subito dalla società
e tornerete al limbo della prima età.

Edoardo Sanguineti










giovedì 23 giugno 2016

Giuseppe Genna, Tirata antitaliana

Non si tratta di avercela con l’Italia, di lamentarsi di questo Paese, surreale come una landa impazzita e un tessuto allegramente lacerocontuso da quando sono nato. E’ che in qualche modo il tempo che si vive è la conseguenza logica del tempo che lo ha preceduto. Che lo ha preceduto di quanto, precisamente? La storia delle stanchezze e degli assassinii italiani dura dalla fondazione di Roma fino a noi. Io mi limito a quanto sto vivendo da un quinquennio. Il contesto mi sembra clamorosamente peggiorato, dal punto di vista del funzionamento sociale, della produzione di cultura, dell’elaborazione estetica, della consapevolezza politica. Gli italiani, col loro mainstream, fanno schifo, sembrano popolare una Disneyworld dell’orrore e della stolidità. 

Giuseppe Genna, 2016: NICHILISMI DEI MIEI COETANEI MESSI IN CROCE SEMPRE

Quando penso ai miei coetanei, che generalmente non stimo affatto, a parte le evidenti eccezioni, di cui spesso tento di diventare amico – quando penso ai miei coetanei, che sempre pensano di essere stati messi in croce dai tempi, ho l’impressione che possano assumere tre tipologie di atteggiamenti rispetto al tempo che tutti viviamo.
La prima modalità è costituita da un insensato entusiasmo per il cambiamento, che si contrae all’accelerazione tecnologica, prescindendo dal mutamento antropologico che la accompagna, e tuttavia nel loro brivido orgasmatico per il nuovo si pongono a dire e fare cazzate, poiché per costoro l’accelerazione tecnologica si rattrappisce nelle uscite sul mercato e nei piccoli annunci sulla colonna destra dei quotidiani on line – si parla di quelli entusiasti dell’e-book, che si comperavano il Kindle quanto il Kobo, poi se ne stancavano, come quando da bimbi si rompevano di giocare con la stessa macchinina, e allora l’incidenza percentuale dell’e-book sul mercato del libro tornava di colpo un dato ininteressante, poiché costoro erano già lì ad attendere Oculus Rift con una VR a bassa definizione e quindi inizialmente deludente, ma loro si esaltano così, gli ci vuole poco, e pensano che i figli faranno il loro corso e li chiamano “millennials” e va benissimo che con lo smartphone ricavano la traduzione della versione da Tito Livio in un nonnulla. 
La seconda reazione dei miei coetanei, che si impegnano atleticamente o si imbolsiscono nonostante le partite a calcetto e le sedute in sauna da Getfit e i lavori da ex élite creativa, è un vago senso di disperazione che li pervade insieme a una molcedine, a un flebile pianto su se stessi e la propria storia antieroica, prima si lamentavano che non partecipato a guerre mondiali e ora si sentono schiacciati tra un tempo predigitale e l’epoca dei tablet e di Snapchat, si sentono abitanti di un mondo che non gli appartiene del tutto, però ci vivono e, sia pure con grande stress e preoccupazione e molte gocce di Lexotan, riescono a prosperarci, a iperpreoccuparsi per i figlioletti, invidiandoli perché sono platici e crescono nell’amnio digit, a cui loro sono in parte esterni e in parte non destinati, perché vengono da un’epoca in cui c’era la Fgci e, al limite, anche Andreotti non andava bene; perciò sopravvivono, nei baretti o negli incontri tra mamme alle elementari o alle medie, il gruppo whatsapp dei genitori di classe non se lo perdono, ma alle mostre ci vanno, si indignano per quanto sono brutte le pubblicità, scuotono la testa all’emersione dell’ultimo youtuber, lamentano il crollo dell’attenzione, hanno meno amanti rispetto a chi è più vecchio di loro anche soltanto di sei o sette anni. La terza reazione che i miei coetanei oppongono a questo tempo si può definire “choc nichilistico”: sono talmente scoraggiati dal mutamento di paradigmi, il quale è totale, al punto che la stessa nozione di paradigma sembra oramai inadatta a essere enunciata o applicata, e sono così sconcertati dalla velocità con cui la tecnologia evolve in coincidenza con l’antropologia che li circonda ambientalmente, da ritenere che non valga più la pena, in nulla: inpegnarsi politicamente, studiare, leggere, godere, intervenire, partecipare divengono esercizi liminali di un’azione oramai disersa nella sua capacità di incidere nel e sul mondo, al limite è un’atletica privata, da condursi in privato, e quindi è deprivata: di senso, di appartenenza a qualcosa di più largo ed emotivo.
C’è una percentuale irrisoria di persone che pensano a cosa sta accadendo e sta per accadere: al fatto che il futuro è crollato nel presente e il canone è senza canone. Costoro, appunto, pensano, e, nel caso che soffrano l’accelerazione, come accade a me, stanno vedendosi impartita una profonda e decisiva lezione di impermanenza.

martedì 21 giugno 2016

Romain Gary

Il solo posto al mondo in cui si può incontrare un uomo degno di questo nome è lo sguardo di un cane.

Cerco di calmarmi chiudendo gli occhi e facendo il conto di tutti i nazisti che ho ucciso durante la guerra, ma questo non fa che deprimermi ulteriormente: vorresti ammazzare l'ingiustizia eppure finisci sempre per ammazzare degli uomini. Camus ha scritto che si condanna a morte un colpevole ma si fucila sempre un innocente. È un dilemma eterno e infernale: l'amore dei cani e l'orrore del branco.

È davvero terribile amare gli animali. Quando in un cane si vede un essere umano, non si può fare a meno di vedere un cane in qualsiasi essere umano, e di amarlo
La provocazione è la forma di legittima difesa che preferisco.

lunedì 13 giugno 2016

Ermanno Cavazzoni,


La cicala effettivamente passa l'estate a cantare (in greco si dice acheteper questo), ed è falso che poi d'inverno vada a chiedere il cibo alla formica, sia perché la cicala si nutre di rugiada, dice Plinio(Nat. hist., XI, 32), sia perché non ha la bocca, ma una specie di piccola lingua con cui lecca la rugiada. Poi se la cicala si presentasse alla porta della formica il primo problema sarebbe quello della comunicazione, perché è noto che le formiche non parlano, o se parlano, parlano talmente piano che nessuno finora, anche con degli apparecchi acustici, è riuscito a sentirle. 

domenica 22 maggio 2016

Cornelius Castoriadis

[...]capitalismo sia la condizione necessaria e sufficiente della
democrazia, mentre si tratta di due “creazioni” sociali-sto-
riche distinte, che nell’età moderna si sono contaminate,
ma sono anche entrate in tensione, se non in conflitto65; la
comparsa di un tipo d’individuo sociale orientato alla mas-
simizzazione dei godimenti individuali66, in nome di uno
pseudo-individualismo” che in verità è un conformismo
generalizzato e in nome di un culto della performance, con
il quale il capitalismo ha surrettiziamente preso in prestito
ed asservito alla sua razionalità strumentale alcuni signifi-
cati immaginari del progetto di autonomia67; il presentarsi,
per il tramite della spettacolarizzazione mediatica o del
senso di onnipotenza e del «fantasma d’immortalità» in-
dotti dal progresso tecnologico, di forme nuove di ricopri-
mento del caos e di oblìo della nostra condizione di mortali,
per agevolarci la fuga dalla «prova della libertà» di creare e
dalla responsabilità del fare68; il venir meno di significati
immaginari centrali, a cominciare da una rappresentazione
di sé della società, offerta come polo ideale d’identificazione
agli individui69; l’accelerazione della corsa cieca e illimitata
allo sfruttamento delle risorse naturali, su scala planetaria,
rispetto alla quale Castoriadis ante litteram indica come via
d’uscita una strategia della decrescita [...]



Prova


venerdì 13 maggio 2016

Ramon Panikkar

Il lavoro che non è compartecipazione alla costruzione consapevole di un mondo migliore è schiavitù in cambio di denaro, e sempre meno, attualmente sempre meno: fino a ridurci ad animali. Il contadino che vive il ritmo della terra, l'artigiano che elabora la materia, l'insegnante che trasmette ad altri le sue passioni, l'artista che realizza le sue visioni lavorano. Gli altri sono schiavi tenuti in vita per produrre energia per altri, forse più macchine che schiavi. 
- Ramon Panikkar




https://www.youtube.com/watch?v=7vKgB5PvLgE

La neolingua

https://neovitruvian.wordpress.com/2016/04/08/la-neolingua/

domenica 24 aprile 2016


<< Stamattina sono stato a un funerale.
La cerimonia è andata via liscia e incolore finché alla fine il prete ha detto: “Ora il figlio vuole dire qualche parola”.
Il figlio, in dieci minuti, ha tratteggiato un ritratto vivo, affettuoso e vivace del padre. Un ritratto senza sbavature né esagerazioni né cedimenti al sentimentalismo. Ma quei dieci minuti hanno avuto più calore, colore e spessore di tutto il resto della cerimonia. Il papà era ancora lì tra noi, vivo, e questo sarà il ricordo che ne manterremo.
Ordunque, trascurando il fatto che io sono certamente immortale, se per qualche errore del Creatore prima o poi dovesse succedere anche a me di morire – evento verso cui serbo la più tranquilla e sorridente delle disposizioni – ecco le mie istruzioni per l’uso.
La mia bara posata a terra, in un ambiente possibilmente laico, ma va bene anche una chiesa, chi se ne frega. Potrebbe anche essere la Casa delle Balene, se ci sarà già o ci sarà ancora. L’ora? Tardo pomeriggio, verso l’ora dell’aperitivo.
Se non sarà stato possibile recuperare il cadavere perché magari sono sparito in mare (non è una cattiva morte, ci sono stato vicino: ti prende una gran serenità), in uno dei miei viaggi, andrà bene la sedia dove lavoro col mio ritratto sopra.

Verrà data comunicazione, naturalmente per posta elettronica, alla lista EnzoB e a tutte le altre mailing list che avrò all’epoca. Si farà anche un annuncio sui miei blog e su qualsiasi altra diavoleria elettronica verrà inventata nei prossimi cent’anni.
 Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po' più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati. Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato. Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che volete. Vorrei l'orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini e sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino sulla bara, checcazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un po' anche a me. Voglio che si rida – avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere: è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte – . E si fumi tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considerei un'offesa alla morte, bensì un'offerta alla vita. Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa continueranno fino a notte inoltrata. Le mie ceneri in mare, direi. Ma fate voi, cazzo mi frega. Basta che non facciate come nel Grande Lebowski. »

(Mi hanno detto di linkare i pdf)

http://users2.unimi.it/rsassatelli/wp-content/uploads/Sassatelli-Genere-e-consumi-2005.pdf

http://users2.unimi.it/rsassatelli/wp-content/uploads/Sassatelli-Ambiguit%C3%93-dellautonomia.pdf

http://digilander.libero.it/piepatso2/tav_int4/cibo-cultura-migrazioni.pdf

martedì 19 aprile 2016

Peterson, univoro

l'onnivoro culturale è caratteristicamente più dotato sia di capitale economico che di capitale culturale, e si oppone al consumatore medio-basso definito, proprio in base alla sua limitata apertura, come monotematico.
Al versante opposto del consumatore onnivoro si situa appunti l'individuo “univoro”; il
termine non è usato nell'italiano corrente e lo si ritrova generalmente in ambito medico;
il vocabolo usato da Peterson è, invece, univorous il quale trova invece una precisa
definizione nella lingua inglese.
Come suggerisce l'antinomica contrapposizione tra le due locuzioni onnivoro e univoro,
il soggetto univorous consuma unicamente una certo ventaglio di prodotti, coinvolge
una bassa gamma di gusti e, tendenzialmente, non si allontana mai da questi.
The attitude of the univore is to make choices from a set of fixed particular principles
that are illustrated by concrete examples156.
Si potrebbe pensare che il concetto di univorous sia associabile con quello
precedentemente citato dello snob intellettuale, poiché entrambi presentano una
selezione di gusti culturali molto ristretta, ma non è così.
Mentre il consumatore snob si situa nella parte dominante della scala sociale, gli
univorous si trovano all'esatto opposto: nella parte più bassa.
Peterson, in collaborazione con Simkus, ha realizzato il grafico sovrastante con lo scopo
di aiutarci a comprendere meglio il posizionamento di queste figure: l'onnivoro, lo snob
, lo slob e l'univoro


rumore di fondo



http://www.glistatigenerali.com/internet-tech_scienze-sociali/a-proposito-di-trivelle-referendum-facebook-cinema-e-nulla-di-tutto-questo/

mercoledì 13 aprile 2016

Simmel

La critica nei confronti del consumismo è per Simmel uno dei tanti tasselli che 
compongono la sua profonda delusione nei confronti di tutto ciò che sia in qualche
modo legato alla civiltà metropolitana.
Per il sociologo, infatti, la nostra epoca coincide con un periodo di profondo disagio per
l'umanità; egli giunge persino a parlare di “crisi della modernità”, una sorta di secondo
medioevo dove a perire sono i valori, la cultura e persino il significato intrinseco delle
cose.

martedì 29 marzo 2016

Antonio Pascale, Nella mente a chilometro zero


NELLA MENTE A CHILOMETRO ZERO

Questo pezzo è uscito sul Foglio, che ringraziamo.
di Antonio Pascale
Ci sono momenti durante i quali ci sentiamo tesi, ansiosi: sono troppi i problemi da affrontare. La desertificazione, il cambiamento climatico, il terrorismo, la foresta amazzonica: del resto, quasi sempre è colpa nostra. Così ci dicono. A volte messi all’angolo, costretti a fare i conti con le nostre responsabilità, ripariamo in un buon ristorante, una cena conviviale, per respirare un po’, insomma una pausa.
Il posto è bello, arredato con gusto (vecchie cassette di legno ospitano erbe aromatiche, dal soffitto pendono vasi con salvia e basilico, ah la natura) ma ecco che… ecco che si avvicina il cameriere: è diverso dagli altri. Te ne accorgi dall’espressione, la classica di chi ne sa più di te. Attendi, cominci a entrare in tensione. Lui illustra il menù, descrive i piatti – spesso mentre spiega si gira verso la cucina come a richiamare la presenza dello chef – e in chiosa ti segnala che: sono tutti prodotti di stagione e soprattutto a chilometro zero.
Ora, quelli che sono con me, attorno alla tavola, sanno che faccio sì lo scrittore ma anche l’ispettore presso il ministero per le Politiche agricole, da 27 anni oramai. Sanno pure che mi piace far polemica e allora, in occasioni simili mi lanciano un’occhiataccia: godiamoci la cena, eh! Sì si, infatti, godiamoci la cena, penso io, e dunque mi concentro sul menù finché mentre parlottiamo dell’eventuale dessert – allora eravamo a gennaio – il cameriere dice che le fragole no, non ce l’hanno ancora, del resto spiega, con espressione seria, non sono né di stagione né a chilometro zero. A me sale nuovamente l’ansia: la desertificazione, il cambiamento climatico, il terrorismo, la foresta amazzonica, e il chilometro zero. Allora ribatto: passi per il chilometro zero, tuttavia la fragola si mangia – anzi si deve mangiare, per il bene della nazione – anche a gennaio.
Godiamoci la cena, mi dicono. Ma niente, ho l’ansia e mi devo sfogare: perché siamo combinati così? Da una parte desideriamo l’autarchia regionale, appunto, il chilometro zero, dall’altra sappiamo che è necessario esportare, tanto è vero che anche il più astuto dei commentatori agricoli, Carlo Petrini, sa che, insomma, conviene non essere così rigidi sulla questione chilometro zero.
Voglio dire: il vino lo possiamo esportare? Certo, sì. E le verdure? E le verdure dipende, forse sì, forse no. Però prima, dico ai commensali, fatemi spiegare questa cosa della fragola.
Negli anni 80 la fragola era disponibile sul mercato italiano da marzo ad aprile, 2/3 settimane di picco, poi il consumo decresceva. Ora abbiamo le fragole tutto l’anno. E qui mi devo fermare perché noto un attacco collettivo di sapere nostalgico che si impossessa dei commensali: eh, una volta sì che si potevano mangiare anche le fragole! Una volta sì che si rispettavano le stagioni! Una volta sì che le fragole sapevano di fragole! No no, dico, attenzione, è una cosa bella, la destagionalizzazione. Cioè cercate di vedere l’aspetto positivo.
Da gennaio comincia la Sicilia (va bene, in serra, sono un po’ care), poi arrivano la Calabria e la Basilicata, la Campania, il Lazio, poi l’Emilia Romagna e la Valle del Po. E in estate? Il Trentino e tutta l’area alpina. Miracolo? No, ci sono due modi. Il primo: la fragola ha bisogno di freddo per fiorire, quindi le piantine vengono coltivate in zone fredde, nei Pirenei, in Spagna, o in Polonia, e poi, congelate, arrivano in Italia, qui vengono piantate e dopo un po’ la produzione può cominciare.
Dunque, vero, sono italiane solo in parte – insomma un po’ hanno viaggiato – ma sono ottime e ringraziamo quei contadini non italiani che hanno lavorato per noi. Come noi dovremmo ringraziare chi apre i suoi mercati ai nostri prodotti: chi scambia vince e innova. Chi si isola perde e non innova. E soprattutto se mangiamo la fragola a gennaio, per esempio, diamo una mano ai contadini siciliani che tra l’altro spuntano un prezzo migliore perché la produzione è diversificata e non concentrata tutta in pochi mesi.
Attenzione – aggiungo con il dito puntato contro l’universo – secondo modo per destagionalizzare: nel 1955 negli Stati Uniti è stata scoperta una fragola selvatica la cui fioritura non dipende dalle ore di freddo accumulate, si chiama Fragaria virginiana. Nel 1980 i genetisti sono riusciti a trasferire questo carattere nelle fragole coltivate. Non vi dico il lavoro: per passare questo gene da una varietà selvatica a una coltivata. Comunque le nuove varietà producono quasi tutto l’anno. E non vi dico il lavoro, tutto a mano, 4.000 ore all’anno per coltivare un ettaro di fragole.

domenica 20 marzo 2016

Dotto. Valerio Gennaro

“Fino a 10 anni fa vivevamo sani fino a 70 anni, adesso fino a 61 anni.
L’aumento più significativo è dunque dei malati cronici, che non muoiono ma rimangono a lungo bisognosi di cure e diventano così dei bancomat per varie spese sanitarie”.



http://www.terranuova.it/Medicina-Naturale/La-vita-si-allunga-ma-la-salute-si-accorcia

venerdì 18 marzo 2016

Schopenhauer, Il dilemma del porcospino

« Alcuni porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

domenica 7 febbraio 2016

Jacques Prévert, Pater noster

Padre Nostro che sei nei cieli
Restaci
E noi resteremo sulla terra
Che qualche volta è così attraente
Con i suoi misteri di New York
E i suoi misteri di Parigi
Che ben valgono i misteri della Trinità
Con il suo minuscolo canale dell'Ourcq
La sua grande Muraglia Cinese
Il suo fiume di Morlaix
Le sue caramelle alla Menta
Con il suo Oceano Pacifico
E le sue due vasche alle Tuileries
Con i suoi bravi bambini e i suoi mascalzoni
Con tutte le meraviglie del mondo
Che sono là
Con semplicità sulla terra

A tutti offerte
Sparse
Esse stesse meravigliate d'esser tali meraviglie
E che non osano confessarselo
Come una bella ragazza nuda che mostrarsi non osa
Con le spaventose sventure del mondo
Che sono legioni
Con i loro legionari
Con i loro carnefici
Con i padroni di questo mondo
I padroni con i loro pretoni gli spioni e marmittoni
Con le stagioni
Con le annate
Con le belle figliole e i vecchi coglioni
Con la paglia della miseria che imputridisce nell'acciaio dei cannoni.

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-anonime/poesia-12279>

Un'umanità in pauroso declino fisico, e non solo


http://www.vegetariani-roma.it/un-umanita-in-pauroso-declino-fisico-e-non-solo/





martedì 26 gennaio 2016

George Bernard Shaw, Tombe viventi


Noi siamo le tombe viventi di bestie assassinate
macellate per soddisfare i nostri appetiti.
Noi giammai ci fermiamo a domandare nei nostri banchetti
se gli animali, come gli uomini, possano in qualche modo avere dei diritti.
Noi preghiamo nelle domeniche affinché possiamo
avere una luce per guidare i nostri passi sul nostro cammino.
Noi siamo nauseati dalla guerra, noi non desideriamo combattere.


domenica 17 gennaio 2016