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lunedì 13 febbraio 2012

Lettera d'amore

Abelardo Morell, Opening Page: A Farewell To Arms2011




Amore mio,
sto per darti un dolore infinito, che ti struggerà fino a morire. E io ne muoio più di te, perché quest'addio mi spezza il cuore e mi lascia prostrato come un guerriero che ha perso la sua battaglia. Arrivano da lontano i nuvoloni a coprire d'ombra quanto abbiamo seminato e quanto speravamo un giorno di vedere fiorito e rigoglioso. Sono troppi i chilometri che separano le speranze dalla vita reale. In questa terra di nessuno, pigramente, tristemente, finiscono le cose non successe, gli appuntamenti perduti, le buone azioni mai portate a compimento. Quel che resta drammaticamente vivo nella mente sono i ricordi dei ricordi e, dopo tutto questo tempo, abbiamo capito che quei ricordi non erano altro che speranze. Cioè pensieri vuoti, morti a un passo da dove sono nati, rimasti imbrigliati nella fitta rete dei giorni che si susseguono, veloci e lentissimi, brucianti ed eterni. Non posso più amarti. E tu non mi devi più amare. Riprendi la vita là dove l'hai lasciata e prova nuove strade, perditi con fiducia in quello che hai perché io non posso darti di più. Non posso darti più nulla.
Ho cinquant'anni, tu ne hai sempre venti, da sempre. Sei bellissima con i tuoi capelli chiari, arricciati, profumata ancora di saponetta. Ho sulla pelle il tuo profumo, mischiato a quello dell'erba fresca, mischiato al sapore candido della tua saliva, alle ruvide trame delle tue camicette, ai tremori impavidi dei tuoi baci. Quante volte -- non te ne sei sempre accorta -- col viso nascosto tra i tuoi capelli, sulle tue spalle che sapevano di ferro da stiro, ho asciugato qualche lacrima. Mi faceva paura il futuro, il nostro futuro, che mi appariva come un drago. L'avrei vinto quel drago se a rischiare la vita fossi stato soltanto io. Ma l'idea di salvare te mi faceva tremare. No Serena, è arrivato il momento di restituire a te la libertà di non avermi mai incontrato e a me il silenzio di quando ancora non ti conoscevo, in un lungo, infinito spazio senza memoria, avvolto nel buio, dove forse aspettano quelli che ancora devono nascere e dove vanno a finire quelli che muoiono.
Lo sai che sono sposato. E sposato con una donna che amo perdutamente da venticinque anni. La amo fino al punto che spesso ho la ferma impressione che al mondo non esiste che lei, che non esisto nemmeno io. La vedo e specchio in lei la parte di me che mi piace non dimenticare mai, la parte di me che forse non è mai esistita, ma che immagino viva e operante. E questo regalo me lo fa lei, perché quando mi guarda, quando mi parla, sembra che si rivolga a una persona degna delle più grandi lodi di questo mondo. E io allora ho voglia di baciarla, di sciogliermi in lei, di morire insieme con lei all'apice dell'amore.
Oggi ha più di quarant'anni, ma una volta ti somigliava. Tuttavia come possono competere la bellezza d'un tempo con la bellezza di tanto tempo. Perché è tanto il tempo che mi allaccia a lei. E' tutta la mia vita. E ancora oggi, quando la stingo forte mi perdo nei suoi baci, nel suo corpo caldo, mi batte il cuore.
All'epoca le mettevo tanta soggezione e allora mi scriveva spesso, e spesso in versi. Lo stesso tenero impaccio che leggo nei tuoi occhi quando ci incontriamo. Vederti abbassare lo sguardo quando ti accarezzo mi trafigge il petto, mi dissangua. Mi viene voglia di berti, come un boccale d'acqua fresca nel cicaleccio dell'estate. Ma ho cinquant'anni e sono strafelicemente innamorato di mia moglie.
Non sarà facile dimenticarti e forse non ci proverò neanche. Però non potremo mai più incontrarci. Io sono arrivato agli ultimi anni del corso, ho imparato una matematica che tu non puoi ancora decifrare. Nulla rimane mai uguale a se stesso. Ciò che per te è un miracolo, per me è una fatalità. Ciò che per te è una scoperta per me è una conferma. Così eccomi nella mia vita senza miracoli e senza scoperte. La fatalità e le conferme che mia moglie ogni giorno mi regala è la meravigliosa matematica che tu devi ancora scoprire.
Mia struggente, indimenticabile Serena, ti scrivo questa lettera di addio mentre mi riempio un bicchiere di vino. La finestra è aperta su una notte piena di stelle. E quante ne ho viste di queste mute, lontanissime stelle quando con Serena, chiusi nella sua piccola utilitaria, ci addentravamo nella complicata tebaide dell'amore. Erano stelle che mandavano il profumo dei concimi naturali, il canto delle rane nelle marrane, dei grilli sperduti nei campi bui. Ancora mi tremano le mani nel ricordo di quando le posavo una mano sul ginocchio e la lasciavo scivolare verso le sue mutandine di bambina. Sento il canto degli alberi che il vento notturno scuoteva, obbedendo a una legge vuota, ottusa, indifferente. E quell'indifferenza i nostri sogni la scambiavano per amicizia complice e benevola. Serena è entrata così nella mia vita, con quegli odori e con quei sapori, venticinque anni fa, complice la clandestinità dei boschetti e dei prati.
Tu Serena hai vent'anni, da sempre. Sono innamorato del tuo volto araldico, nobilissimo, di quella bocca sottile, del tuo collo bianco, dei tuoi occhi che guardano lontano, disperatamente. M'è rimasto addosso quel tuo sentore di casa povera ma pulita. Quei capelli morbidi, avvampati dal sole e capricciosi, quanto li ho amati! Ma adesso, Serena, è giunto il momento di dimenticarti perché mi sembra di farti del male, perché la nostra situazione non regge più nemmeno alle malie della fantasia. Sento che stai diventando una malattia.
Di là c'è Serena che dorme. Si è accorta della mia insonnia e forse anche dei miei turbamenti. Deve aver intuito qualcosa se, per la prima volta nella nostra vita in comune, ha deciso di lasciarmi completamente solo a risolvere questo problema. Tu sei troppo lontana e vai sbiadendo sempre di più nei miei ricordi. Non mi puoi aiutare. E io non posso fare altro che recidere di netto questo legame sterile, adolescenziale, crudele.
Non voglio neanche immaginare come la prenderai perché sento che apparirebbe davanti ai miei occhi un nero pieno di rumori confusi. Ma soprattutto non devo sapere dove ti porterà il destino, tra quali braccia ti lascerai addormentare ogni notte nei prossimi venticinque anni. Serena mia, addio. Il cielo si sta schiarendo, qualche negozio tira su le serrande.
Mi rimane un'oretta di sonno. Serena, l'unica donna della mia vita, mi aspetta.


Una lettera d'amore, Il messaggero, 28 luglio 1991