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mercoledì 30 gennaio 2013

Late comers



"La verità m'appare d'un tratto: quest'uomo morirà presto. Di sicuro lo sa anche lui; basta che si sia guardato ad uno specchio: di giorno in giorno rassomiglia sempre più al cadavere che sarà. Ecco che cos'è la loro esperienza; ecco perché mi son detto tante volte che odora di morte: è la loro ultima difesa. Il dottore vorrebbe pur credervi, vorrebbe mascherarsi l'insopportabile realtà: ch'egli è solo, che non ha capito nulla, che non ha passato; con un'intelligenza che gli s'intorbida, e un corpo che si sfascia. E allora egli ha apprestato ben bene, ha ben sistemato e imbottito il suo piccolo delirio di compensazione: dice a se stesso che progredisce". Jean-Paul Sartre

La nostra civiltà a confronto con una più arretrata, come gli Hunza, fa venire la nausea.


Ogni tanto vado a riguardare cose già messe (17 gennaio 2013). Oggi, cliccando il link che riporta alla pagina di Wikipedia sul popolo degli Hunza, vedo che non c'è più traccia nella pagina del tipo di vita ed alimentazione quasi vegana di questa popolazione, della longevità e degli studi condotti su di loro. Da qui ho deciso di riportare le notizie a cui io facevo riferimento per permettere a chi legge di capire a cosa alludevo. (pur continuando a non capire come mai su wikipedia siano state tolte queste informazioni -sempre che non sia a sbagliarmi)

La longevità degli hunza [7] [modifica]

La popolazione degli hunza viene talvolta menzionata per la sua aspettativa di vita eccezionalmente lunga [8] Ralph Bircher uno dei maggiori studiosi di questo popolo di circa 10.000 individui, riporta alcune caratteristiche sbalorditive, quasi leggendarie, nel suo libro Gli hunza, un popolo che ignorava la malattia [9], ovvero:
- sono quasi esclusivamente vegani (la carne era consumata poche volte l'anno e i prodotti di origine animale piuttosto raramente);
- la dieta si basava su un apporto calorico inferiore alle 2000 kcal, nonostante i lavori piuttosto pesanti che svolgevano;
- praticavano un duro semi-digiuno stagionale a causa dell'assottigliamento delle scorte dei viveri in attesa del nuovo raccolto;
- gli indumenti che indossavano erano poco adatti, secondo i parametri comuni, a sostenere i rigori invernali;
- l'età media riguardo alle aspettativa di vita era calcolata a circa 120 anni;
- l'efficienza fisica e la smagliante salute permaneva fino a tarda età;
- non si conoscevano malattie (prima dell'arrivo massiccio dei prodotti della civiltà consumistica).
La longevità e la salute perfetta degli hunza hanno fatto avanzare diverse ipotesi a questo riguardo. Le più attendibili riguardano...
- la dieta naturale e vegetariana e il semi-digiuno obbligato stagionale;
- l'altitudine e l'ambiente incontaminato in cui vivono;
Altri ipotizzano addirittura che l'elisir della loro lunga vita fosse il torrente a cui attingevano l'acqua con particolari virtù salutari (virtù dovute, probabilmente alla completa mancanza di fluoro). I vari studiosi di "questo popolo greco dell'Himalaya" che si sono succeduti hanno riscontrato che la loro longevità e salute si siano andate degradando con il passare del tempo. Già nel 1979 lo stesso Ralph Bircher riporta la notizia a lui pervenuta tramite conoscenze che il paese aveva ormai perduto la sovranità e la sua influenza; al posto del re (mir) c'era adesso la polizia pakistana; inoltre i prodotti, se non altro alimentari, della civiltà consumistica sembra avessero ormai invaso tutti i villaggi hunza.[10]

L'indagine di McCarrison [modifica]

Durante il periodo fra le due guerre mondiali, il medico scozzese McCarrison operante nel circondario di Gilgit, a Nord del Cachemire, rimase colpito dalla conformazione fisica e dalla incredibile capacità lavorativa degli hunza, e per quanto riguarda la sua ricerca sulle malattie trovava questo popolo insignificante dato che non aveva nulla da curare se non qualche trauma o frattura. Infine abbandonò le sue ricerche riguardanti il campo delle malattie per dedicarsi ad esaminare accuratamente questa ottima condizione salutare degli hunza, da lui reputato il popolo più sano della terra. A parte gli accessi di febbre brevi e violenti e qualche infiammazione agli occhi causata dal fumo del riscaldamento nelle chiuse abitazioni durante il periodo invernale, non v'erano malattie particolari né quelle dovute all'invecchiamento (nessuna diminuzione della capacità uditiva e visiva, né indebolimento degli organi; i denti rimanevano perfetti ed efficienti fino a tarda età). McCarrison esaminando diversi i fattori essenziali quali le condizioni climatiche, la razza, l'alimentazione, ecc. arrivò alla conclusione che il regime alimentare fosse la chiave per capire l'enigma dell'incredibile salute e longevità degli hunza rispetto anche ai popoli confinanti che vivevano più o meno nelle stesse condizioni ambientali contraendo varie malattie, come tubercolosi, malaria, e tante altre più o meno gravi. McCarrison in definitiva viene ad elencare queste condizioni alimentari:
- autosufficienza alimentare
- assenza di prodotti industriali e commerciali a livello mondiale (zucchero, conserve, cibi raffinati, ecc.)
- cibi prevalentemente crudi. L'alimentazione base degli hunza è costituita dai prodotti freschi coltivati in loco quali: cereali, frutta, e in misura inferiore legumi (fatti germinare, in certi periodi dell'anno, insieme ai cereali e mangiati così crudi) e latte. La carne e il vino venivano raramente consumati.
L'ipotesi di McCarrison venne confermata dai suoi stessi esperimenti praticati su due popolazioni diverse di topi, le quali venivano alimentate rispettivamente con due diete particolarmente differenti: una simile a quella praticata dagli hunza e un'altra come quella in uso nella civiltà occidentale (farina bianca, dolciumi, conserve, carne, marmellate, ecc.). Questo esperimento significativo attestò la longevità, la perfetta salute e l'ottima convivenza nel primo gruppo di topi alimentato secondo il regime alimentare praticato dalla popolazione degli hunza. Mentre il secondo gruppo rimaneva affetto da malattie e da una aspettativa di vita molto inferiore oltre al fatto che si riscontravano numerosi casi di cannibalismo. Questa ricerca pioneristica riguardo alla correlazione tra il tipo di alimentazione e la longevità e salute verrà successivamente confermata da altri studiosi.

Agricoltura, allevamento e sussistenza [11] [modifica]

L'economia degli hunza, fino a pochi decenni fa, era prettamente chiusa o meglio di sussistenza e si basava sull'agricoltura che veniva praticata sui loro "terrazzamenti" (mesas), in maggior parte però quasi sterili. Nel poco terreno fertile dunque si coltivano alberi da frutta, in particolare albicocchi, e altri prodotti riportati sotto (vedi Dieta hunza). Il riciclaggio in questo ambiente naturale viene praticato al massimo: i ramoscelli ottenuti della potatura vengono recuperati e utilizzati poi come combustibile nei mesi invernali più rigidi; allo stesso modo lo sterco dei pochi capi di bestiame (mucche, capre e pecore, utilizzate perlopiù per il latte) viene fatto essiccare e immagazzinato per poi bruciarlo d'inverno. La carestia stagionale che colpiva nel periodo primaverile, prima del raccolto, sembra fosse andata peggiorando con il tempo e il regime dietetico già spartano degli hunza diventava sempre più insufficiente, data la fisionomia dell'aspro e sterile territorio e la carenza di fonti acquifere, senza nessuna possibilità di irrigazione, in concomitanza oltretutto con l'aumento della popolazione. Questa cosiddetta primavera di fame, iniziava pressappoco dopo la festa di ringraziamento, il Bop-Faou, (come viene riportato da Lorimer nel 1935), durante la quale si implorava la fecondità della terra con riti cerimoniali solenni e giochi di destrezza, a cui seguivano settimane di semi-digiuno coincidente con i più duri lavori nei campi. Nonostante la carestia gli hunza rimanevano un popolo legato e solidale, allegro, ospitale e generoso, esente da avarizia ed egoismo, dignitoso, nonostante gli stenti, tanto che Lorimer riporta nel suo diario di bordo casi incredibilmente eclatanti e commoventi di ordinaria abnegazione, aggiungendo inoltre che "la fame non ha nessuna influenza sull'umore di questa gente, non arriva a piegare il loro temperamento".[12] Questa economia di sussistenza negli ultimi decenni si è aperta al mercato globale con afflusso di prodotti alimentari esterni più sofisticati che di certo hanno mutato in qualche grado la fisionomia, la cultura, gli usi e costumi degli hunza.

Dieta hunza [modifica]

La dieta degli hunza di qualche decennio fa (riportata da diversi studiosi specialmente da McCarrison e Wrench) era costituita in gran parte da alimenti di origine vegetale prodotti in loco: orzo, miglio, grano saraceno, grano [13] (e quindi l'utilizzo della farina integrale e di una specie di pane azzimo), mais [14] (raro), in misura inferiore legumi (fagioli, piselli, lenticchie, fave, ceci), frutta (more, mele, uva, ciliege, prugne, pesche, giuggiole, melagrane, meloni, pere, mandorle, noci) e specialmente albicocche fatte essiccare (delle albicocche si utilizzavano anche i noccioli da cui si ricavava anche un tipo d'olio), patate, verdure varie, carote, zucche, cavoli, cetrioli, melanzane, pomodori, erbe selvatiche ed aromatiche. Il vino veniva consumato in rare occasioni, perlopiù coincidente con particolari eventi. Per quanto riguarda i prodotti di origine animale abbiamo il latte (specialmente di YAK), formaggio fresco (brus) e da conservare (rahkpin), ricotta (quark), il burro o maltache (alimento preziosissimo); la carne, in genere ricavata dal bestiame minuto (pecora, capra, gallina), era utilizzata raramente ma mai assente.[15] L'unico prodotto importato e usato con parsimonia era il salgemma proveniente dalle zone vallive vicine.



Aggiungo anche la spiegazione al senso di "La Nausea" di Sartre:

<<La nausea che prova il protagonista del romanzo - Antoine Roquentin - deriva proprio da quella condizione di sostanziale gratuità della vita, ovvero il sentire la vita come priva di un senso necessario. Ma vi è anche l'estraneità della coscienza nei confronti della natura, vista come brutalità priva di alcuna coscienza.
La nausea è quindi un romanzo filosofico nella misura in cui ripropone, sia pure in maniera del tutto originale, una specie di dualismo tra ciò che è cosciente e ciò che è incosciente. Per Sartre infatti la coscienza è l'elemento che distingue due categorie ontologiche distinte, appartenenti a due livelli ben distinti dell'essere.
La vita, secondo Roquentin, nel momento in cui ci appare come un unico e inevitabile flusso di esperienze senza un senso proprio, provoca la grande vertigine della nausea. Si può dunque dire che Sartre lamenta il fatto che la realtà non ci dia significato da sé, ma che è la coscienza dell'uomo a doverglielo dare. In questa impresa l'uomo è del tutto solo, perché non c'è un Dio a cui fare riferimento e porre domande.
Questa possibilità, che è anche un compito, aperta all'uomo, è per diversi aspetti la stessa che provoca l'angoscia in Soren Kierkegaard, ma in quest'ultimo c'è una visione salvifica del Cristo a dare speranza.
Non esiste un essere necessario "Dio" che possa dare significato dall'esterno a questa condizione esistenziale. L'esistenza è di per sé già compiuta nella sua evidenza, l'esistenzaè assoluta e gratuita.
La condizione di chi si sente esistere è già vissuta come un esistente, seppure assurda perché senza uno scopo apparente, viviamo per vivere e per morire, gli eventi ci vengono incontro come fenomeni e non possiamo dedurli se non vengono in contatto con il nostro Io.>>