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venerdì 9 dicembre 2011

mini man animalism

L'autobus era in ritardo, cronico, come i reumatismi che le bollavano le mani mentre dalla pensilina pazientava senza attesa una corsa di trasporto. Nella borsa rinvenuta dalla stagione precedente cercava il ticket di viaggio esentato dalla buona salute quando poc'anzi l'aveva riposto sgualcendolo per una presa di mano alquanto salata e con gli arti maldestramente aperti a ventaglio incuneava sinistramente il volto nel sacco senza percepirne aria. Una gamma di cose sterili filtrava dal sole che riacutivazza un dolore nella memoria asettica, la naftalina racchiudeva i sapori e liberava tarme di una cronaca infestata dal tempo. Uno scontrino datato riportava l'episodio senza precisa ricollocazione di una cena al ristorante, una delle tante dimostrazioni pratiche di digiuno flaubertiano sentimentale senza educazione. Privo di dialogo, ricorrenze, scambi, il bene più privato era l'affetto. Masticava a lungo ogni parola per non lasciar nessun boccone sospeso, alla stregua di una gomma che rimbalza tra i denti come un muro, lei macinava e gli altri non digerivano, assumendo un aspetto di sensibilità trattata in un'opera di imbarazzo di stomaco a chi di fegato ne era sprovvisto. Una congestione senza rimedio per un disturbo costante: il freddo. Cosa ci faceva lì in mezzo? Una corrente continua percepita solo per un black out totale, nero come lo sciopero dei mezzi, pubblici come i sentimenti che increspano la fronte nella parte alta piegata senza sdegno a terra, dopo che è atterrata ed è rimasta ferma. La serrata era finita, i movimenti riprendevano, un tram spuntava e lo spasimo consolidato le fecero stendere apertamente la mano per chiamare una fermata, come un saluto involontario per segnalare la propria posizione